Numero 11 ABSTRACT

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In Filoforme - Abstract ITA

FILO FORME anno 4 n. 11

 

Presentazione
Stefanella Sposito

In questo numero di Filoforme abbiamo voluto lanciare alcuni input come elementi iniziali per una riflessione più profonda sul senso del “fare con la stoffa” oggi. Negli ultimi decenni si sono moltiplicati gli artisti che hanno eletto la fiber art quale mezzo espressivo più congeniale per esprimere il proprio linguaggio. Che si tratti di fili intrecciati, di strati di feltri sovrapposti, tessuti manipolati o applicazioni di paillettes, il “dare forma”, plasmando e convertendo la materia, rimane un’esigenza espressiva vitale anche nel mondo contemporaneo. Allo stesso tempo i confini dei medium artistici si sono fatti labili e controversi e l’artista ha visto espandersi il territorio di propria pertinenza. Sono emersi alcuni temi trasversali davvero interessanti: la problematica sociale dell’emigrazione e quella psicologica della ricerca dell’identità, la condizione esistenziale femminile, le metamorfosi e i cambiamenti della città, del pensiero e dello sguardo umano, i nuovi materiali in rapporto all’arte, la contaminazione dei mezzi espressivi, argomenti che gli artisti avvertono, interpretano e fanno propri. Su questi aspetti, che ogni volta si intrecciano in vario modo, abbiamo focalizzato la nostra lente d’ingrandimento, decidendo di approfondirli e discuterli, in alcuni casi anche attraverso la formula dell’intervista, direttamente dalla stessa voce dei protagonisti.
La sensibilità di Lucia Feinig-Giesinger, si orienta verso il tempo dell’attesa di alcune profughe bosniache, a cui l’artista contribuisce a dare un significato costruttivo di speranza, dando vita al Tempo cucito dei Bosna-Quilt. La costruzione di un manufatto diventa terapia che aiuta a non smarrire il nesso della propria identità e a proiettarsi in un domani di là da venire, mentre l’arte, come afferma Paola Jori, diventa “pratica dell’intelligenza nomade” ed “esercizio di un’attività critica”. Lo stesso tema, declinato attraverso il medium cinematografico, viene affrontato in modo più intimista in BRODEUSES (Le ricamatrici), splendido film ambientato nella provincia francese, che inquadra il ricamo come metafora della vita e pone l’accento sulla gestualità dell’atto creativo e lo scorrere del tempo sul lavoro. Negli altri due articoli, come nel precedente, Ester Prestini ci suggerisce più di uno spunto scaturito dal suo incontro con una tessitrice durante un viaggio in Tunisia e dall’analisi del testo teatrale di “Telai”. Sulle tele e sui tappeti l’autrice coglie l’essenza di una narrazione silenziosa, “di ordinare il mondo attraverso l’intricarsi dei fili”. Non a caso cinema e teatro ci parlano oggi di telai, quando devono far luce su aspetti della femminilità in continua evoluzione.
All’idea di Metamorfosi degli eventi, che mette a confronto diretto passato storico e presente immediato, è legato l’impegno di Martha Nieuwenhuijs, che coinvolge l’arte in parallelo con la filologia, l’architettura, la musica e la filosofia e sottende una contaminazione di campi e uno “sguardo lucido, quasi fotografico sulla realtà che cambia, una capacità metamorfica del guardare”… e dello scoprire. Anche qui troviamo vari riferimenti al racconto: dai classici come Apuleio e Ovidio ad autori moderni, come Kafka, fino alla formula del libro/scultura. “… gli artisti hanno voluto ripensare l’oggetto libro in senso estetico… è un espressione piuttosto naturale per l’artista questo legame fra pensiero, segno e pittura…”.
L’attenzione ai nuovi materiali ha radici polimateriche e mutanti, che alludono a una metamorfosi in continuo divenire. Ecco allora opere in plastiche e paillettes, eredi più o meno consapevoli delle prime paillettes nei quadri futuristi che, con il loro “pointillisme” specchiato e cangiante, disseminano di nuove luci l’arte contemporanea.
Attraverso l’impiego di nuove tecnologie, viviamo, forse, gli albori di un’epoca virtuale, che agevolmente ci proietta in universi allargati nel possibile e nell’immaginabile, dove contaminazioni, rimandi e convergenze si succedono e si rincorrono, mentre differenze e peculiarità si esaltano e si contraddicono? E’ forse un nuovo eclettismo dove memoria storica e attualità convivono? O meglio un de-costruttivismo, dove i concetti di lontano e vicino, di grande e di piccolo, ridefiniscono i loro rapporti proporzionali attraverso nuove categorie?

BOSNA QUILT-TEMPO CUCITO
Stefanella Sposito (pag. 3)

La galleria Studio G7 di Bologna ha ospitato, nel novembre 2004, “Bosna Quilt-tempo-cucito”, una mostra di opere di concezione e realizzazione collettiva, curata da Paola Jori, che offre spunti d’interesse socio-antropologico ed artistico. Alla base di questo progetto c’è “Bosna Quilt Werkstatt” una fusion artistica singolare, che vede la collaborazione e l’incontro di donne mosse da sensibilità e culture tanto diverse, come Lucia Feinig-Giesinger, affermata pittrice austriaca, ed una piccola comunità di donne bosniache, rifugiate nel 1993, in un asilo per profughi di guerra nel Verarlberg in Austria. l’Atelier artistico sorto nel campo profughi della Caritas Galina, diventa un progetto di lavoro permanente e, nel 1998, al termine della guerra, si trasferisce nell’enclave della città di Gorazde, sulla Drina. Le opere esposte sono tutti pezzi unici, realizzati con assemblaggi di tessuti stratificati ed interventi di cuciture realizzate a mano. Si presentano come enormi campiture geometriche di colore, i cui contrasti sono accentuati dal movimento intermittente del filo con cui sono eseguite delle impunture, che tracciano “disegni invisibili” sull’intera superficie. Hanno formati variabili e possono essere realizzati anche su richiesta.

TRAMANDARE
Ester Prestini (pag. 7)

Durante un viaggio in Tunisia Ester Prestini incontra una tessitrice e rimane affascinata dall’abile lavoro della donna, che riproduce sulla tela un’immagine dell’albero della vita. L’autrice osserva la mano rapida che “percorre un alfabeto di segni antichi, che gode di un tempo che non conosce la morte” e coglie il profondo significato di quella narrazione silenziosa. Nasce una riflessione intorno al “misterioso modo delle donne di raccontare, di ordinare il mondo attraverso l’intricarsi dei fili”, mentre nello spazio angusto di un piccolo laboratorio, i disegni di tappeti ed arazzi, di coperte, abiti o tovaglie appaiono come variegati pittogrammi figurati che richiamano il segreto della “natura che tesse il filo della vita”. “Codici da decifrare…, tracce del legame che unisce ogni nuova generazione alla precedente e a quella che la seguirà”.

TELAI
Ester Prestini (pag. 8)

S’intitola “Telai” l’ultimo spettacolo di Laura Curino, che interpreta il lavoro scenico come narrazione di vite vissute, affabulazione di memorie personali e collettive. Il filo conduttore del testo teatrale è un telaio. Ad esso rimanda ogni singola storia di questo straordinario archivio del nord-est, storie di vita di una decina di donne vissute tra Schio e Venezia tra il 1600 e i primi anni del Novecento. Intorno ai ferri del mestiere, arcolaio, ago, tombolo, spoletta, si coagulano tempi, luoghi, personaggi, vicende intime, mai disgiungibili dalle coordinate socio-economiche e politiche del momento storico in cui si situa la trama del discorso. Elemento scenico straordinariamente funzionale alla narrazione: un rettangolo di stoffa leggera, che diventa di volta in volta soggolo virginale di suora, trepidante velo da sposa, scialle, cappuccio, sopraveste….insomma proprio quell’indumento che contrassegna la singolarità assoluta di ogni esistenza.

BRODEUSES (Le ricamatrici)
Ester Prestini (pag. 9)

Le ricamatrici, di cui ci parla con linguaggio filmico di prosciugata bellezza la regista Eleanor Faucher, non si perdono nella penombra di un passato più o meno recente, ma sono donne d’oggi, le cui strade s’intersecano, come talvolta accade misteriosamente, nello spazio di dolorose solitudini. La vita di Claire, giovanissima lavoratrice precaria in un supermercato e della signora Mèlikian, collaboratrice dell’Atelier di Ricamo Francois Lesage di Parigi, s’incontrano, per volontà caparbia della prima, su quel terreno straordinario e impervio che è l’esperienza della maternità, della creazione nella sua accezione originaria, creazione di cui l’atto del ricamare è metafora e universale analogia.

Le Metamorfosi di Martha Nieuwenhuijs
Stefanella Sposito (pag. 10)

Prendendo spunto da una mostra-convegno a Collegno (TO) nel giugno del 2004, che ha convogliato diversi esponenti della filologia, dell’architettura, della musica, dell’arte e della filosofia intorno al tema della METAMORFOSI, abbiamo aperto un dibattito con Martha Nieuwenhuijs, artista cosmopolita, ideatrice dell’evento. In un mondo in cui i cambiamenti sono sempre più rapidi e incontrollabili, il tema della metamorfosi richiama evoluzioni e trasformazioni che mettono a confronto diretto passato storico e presente immediato. Attraverso le parole dell’artista prendono vita anche le sue opere: Caos, Lo straniero, il viaggio, il ritorno, ispirati agli eventi dell’11 settembre, alla figura dell’inviato speciale e all’immagine dell’emigrante; La luna non c’era, Ponte Dora, La vecchia fabbrica s’ ispirano invece ai vecchi quartieri della Torino industriale. Tutto il lavoro di Martha Nieuwenhuijs sottende uno sguardo lucido, quasi fotografico sul mondo che cambia, una capacità metamorfica del “guardare”… e dello scoprire. L’artista è attenta anche alla metamorfosi della materia ed alle sue manipolazioni, che considera essenziali. Interessata per anni allo studio degli intrecci antichi per sperimentare effetti di textures, oggi si sente attratta dai materiali tecnologici come la fibra di vetro, i tessuti “non tessuti” in poliestere, gli interventi di stampa plotter su tessuto.

ARTE IN PAILLETTES
Stefanella Sposito (pag. 14)

Sono ritagliate da sottili lastre in poliestere o acetato di cellulosa le paillettes, quei brillanti e luminescenti dischetti di plastica, che spesso compaiono su abiti e accessori di moda in tutte le stagioni. Anticamente si chiamavano “lustrini” e conferivano lustro e splendore a chi li indossava. Meno frequente il loro uso nel mondo dell’arte dove già nel 1912, con l’affermazione del futurismo, s’inseriscono come elementi materici estranei alla pittura, capaci di frantumare l’integrità del piano, aggiungendo visuali multiple e simultanee alla dimensione bidimensionale della tela. Con il progressivo affermarsi dei materiali plastici, artisti e designers sentono l’esigenza di confrontarsi con questo “materiale simbolo” dell’evoluzione tecnologica. Allo stesso tempo l’elemento propriamente tessile entra a far parte della grammatica compositiva di un dipinto. Nel testo vengono illustrate opere interamente realizzate in paillettes o che presentano inclusioni parziali di questo materiale, appartenenti alla produzione di Gino Severini, Enrico Bay, Francesco Vezzoli, Maria Amalia Cangiano e Andrea Martini.