"Intervista con Pierluigi Vettorello, autore del libro “È tutto a post”"
"Intervista con Cesare Fiori, autore assieme a Michele Macchiarola di “Il vetro nel mosaico"”"
Sofia Stefani, giovane storica dell’arte, ci parla del saggio: “L’arte del ferro a Padova tra Otto e Novecento”, della collana editoriale “Quaderni dell’artigianato padovano” (https://ilprato.com/libro/arte-del-ferro-a-padova/) .
Intervista all’Autore a cura di Marta Molinari
L’idea nasce tra i banchi del palazzo Liviano, durante le lezioni del corso di Storia dell’oreficeria e delle arti applicate all’Università di Padova, sviluppandosi con gli studi compiuti per la tesi di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte. Una ricerca con un intento preciso: conoscere e render noto un settore artistico perlopiù ancora sconosciuto ai più e, per questo, maggiormente bisognoso di tutela e valorizzazione. L’indagine si è focalizzata sul periodo dell’Otto-Novecento padovano, di cui rimangono ancora oggi numerose testimonianze. Questo libro ripercorre le dinamiche che portarono alla realizzazione di alcune rilevanti opere: le cancellate per le cappelle radiali della basilica del Santo, i lavori artistici per il Grand Hotel-Restaurant Storione e quelli per il nuovo rettifilo di Corso del Popolo, come la barriera daziaria, Villa Maluta e palazzo Folchi, senza dimenticare quelle realizzate per i palazzi Wollemborg, Donghi-Ponti e molti altri.
Alessandro Mazzucotelli (Lodi, 1865 – Milano, 1938) e Alberto Calligaris (Udine, 1880-1960) sono due tra i più celebri mastri ferrai del periodo Art Nouveau in Italia, le cui officine avevano sede rispettivamente a Milano e a Udine. Fabbri non padovani, quindi, ma entrambi coinvolti nella realizzazione di alcuni lavori per la basilica di S. Antonio, luogo simbolico per Padova, ma anche per lo sviluppo e l’affermazione del nuovo movimento floreale nel primo decennio del Novecento. L’analisi dei loro carteggi, disegni e altri materiali d’archivio, ha permesso di ricostruire i rapporti tra fabbri e committenti in edifici che, nonostante il diverso periodo di esecuzione e contesto, presentano un costante legame e riferimento con il cantiere dell’architetto Camillo Boito al Santo, avviato nel 1895, sia per affinità stilistiche che per maestranze coinvolte.
Camillo Boito (Roma, 1836 – Milano, 1914), una delle figure più rappresentative nel dibattito che animò il settore artistico italiano nella seconda metà dell’Ottocento, definì Padova una città esemplare per il recupero della cosiddetta unità delle arti, intesa come rapporto di equità tra la figura dell’artista e quella dell’artigiano, cessata con l’avvento del Rinascimento. Questo periodo decretò un cambiamento di percezione dell’arte non esclusivamente intellettuale come la pittura, l’architettura e la scultura, considerate “Arti maggiori” e, di conseguenza, contrapposte alle “minori”, frutto di lavori che sporcano le mani e che implicano un diverso coinvolgimento fisico. Nell’utopica ricerca di riportare in auge l’antico ruolo dell’artigiano, Camillo Boito riprese alcuni archetipi e valori diffusesi nel periodo medievale, in particolare durante il XIV secolo, da lui considerato conforme al più alto grado dell’identità nazionale. Padova, ricca di edifici del Trecento, ancora oggi tra le maggiori memorie cittadine, diede la possibilità concreta di sviluppare un nuovo linguaggio artistico espressivo e simbolico strettamente legato alla tradizione medievale.
Fu proprio Boito uno dei primi in Italia a rinnovare l’interesse per l’antica arte fabbrile, caduta in declino, in particolare, con il sopraggiungere del Neoclassicismo. Fornendo valide informazioni e ottime riproduzioni di modelli del passato, attraverso la rivista mensile da lui diretta Arte Italiana Decorativa e Industriale (1890-1911), l’architetto contribuì indubbiamente a determinare in miglioramento sostanziale nella produzione coeva del ferro fucinato, influenzando la ripresa di metodi di produzione e stilemi legati al Medioevo, periodo di massimo splendore per l’arte del ferro. Il periodo tra Otto e Novecento costituisce la base per l’affermazione di alcune importanti officine italiane che fecero di queste teorie la ragione e il fondamento principale del loro operare. Basti ricordare, oltre alle officine di Mazzucotelli e Calligaris, quelle dei Matteucci, di Gardenghi e Mingazzi di Bologna, di Zalaffi e Franci di Siena, di Michelucci e Benvenuti di Piacenza e molti altri.