Intervista a Cesare Crova, curatore del volume “Verso Gubbio 2020. 1960-2020 riflessioni sulle strategie per la salvaguardia dei centri storici a 60 anni dalla Carta di Gubbio”

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A sessant'anni dalla Carta di Gubbio

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Cesare Crova ci parla del volume da lui curato assieme ad Antonio Ciaschi “Verso Gubbio 2020. 1960-2020 riflessioni sulle strategie per la salvaguardia dei centri storici a 60 anni dalla Carta di Gubbio”, che raccoglie i riassunti delle relazioni presentate nel corso dell’omonimo convegno tenutosi il 26 marzo 2021 (https://ilprato.com/libro/verso-gubbio-2020/) .

Intervista all’Autore a cura di Marta Molinari

Perché la necessità di riprendere il discorso della carta di Gubbio a distanza di 60 anni?

In 60 anni tante sono le cose che sono cambiate nella tutela e valorizzazione dei Centri Storici. Nell’immediatezza della Carta di Gubbio molti furono i piani regolatori che ne tennero in considerazione i principi e li fecero propri, ricordiamo Vezio De Lucia o Pierluigi Cervellati, per i piani di Napoli e Bologna, tra gli altri. Ma negli anni questi sono andati sempre più affievolendosi e il C.S. sono diventati terra di conquista per “rigenerare” le città ad una visione moderna dell’uso. Riprendere il discorso significa verificare e far capire come quei principi, enunciati da figure di primo piano della cultura italiana, ma anche da amministrazioni comunali illuminate, siano ancora oggi pienamente validi.

Quali sono le principali problematiche relative alla salvaguardia dei centri storici?

La mancanza di un approccio alla conoscenza della città storica e dei valori che questa porta con sé. Non dobbiamo pensare al piccolo borgo come centro storico, ma anche a quelli delle grandi città. Roma, per esempio, ha nel suo C.S. i palazzi del potere politico. Sono entrambi dei centri storici, ma portano valori e contenuti diversi, che vanno trasmessi al futuro. Già John Ruskin, nell’Ottocento, affermava che noi non abbiamo diritto su ciò che ci è pervenuto. Lo ha chi ha costruito un determinato oggetto e chi ne sarà il fruitore nel futuro. Il nostro compito è garantire la trasmissione al futuro di quello che la storia ci ha consegnato.

Come si pone questo discorso in rapporto al turismo?

Andrebbe rivisto il concetto stesso di turismo. Oggi il turista vive in modo vorticoso la propria vacanza; deve poter vedere quanto più possibile nel minor tempo possibile. Per favorire questo, si cerca di creare situazioni di vantaggio, che permettano al turista di essere parte integrante di un C.S. La città storica non deve diventare il contenitore per il turista. Ne è esempio quanto prospettato dalla variante urbanistica del Comune di Firenze, dove con il concetto di rigenerazione a volumi zero si vogliono sventrare gli antichi palazzi del centro storico per farli diventare contenitori di attività turistiche. Non è questo a cui si deve guardare. Il turismo deve garantire percorsi che permettano di poter godere dei C.S. grandi quanto piccoli, cogliendone le sfaccettature, i caratteri, i sapori.

E con / in seguito al Covid?

L’emergenza sanitaria in qualche caso ha fatto riscoprire i centri storici. Tante persone, piuttosto che vivere in città, con tutte le ristrettezze del caso, ha preferito trasferirsi nei piccoli centri o nei borghi dove ha potuto riscoprire un modello di vita più a dimensione d’uomo, pur continuando lavorando, seppure in modalità agile. La città, spesso frenetica, che non ti lascia pensare, in questo caso ha lasciato il passo a uno stile di vita più rispettoso di sé stessi, dove lo scandire del tempo non era regolato dagli orari di lavoro, ma da una vita più semplice, meno aggressiva, dove è stato possibile riscoprire i rapporti umani e i valori veri della vita.

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